Lettera aperta alla segreteria del Sinodo

Lettera aperta alla segreteria del Sinodo

di don Carlo Occelli

Stiamo vivendo un sinodo diocesano. Ho meditato molto se scrivere questa lettera. C’è sempre qualche ottimo motivo per stare zitti e per non schierarsi. Anzitutto gli impegni della vita, la sensazione di non avere mai il tempo necessario per tutto. Credo sia esperienza condivisa da tanti altri preti e laici: arrivano un sacco di sollecitazioni. Ogni ufficio il suo. E poi un’enciclica, un tema a noi caro, la lettera del vescovo e quant’altro. Così sulla scrivania si accumulano documenti e provocazioni. Ed ognuno fa qual che può. Ma un sinodo diocesano è forte. Non puoi lasciarlo sulla scrivania. Un sinodo diocesano mi ricorda che la chiesa è in cammino. Che le decisioni non possiamo prenderle noi parroci e non possiamo semplicemente demandarle ai laici. No, siamo chiamati a camminare insieme. Il sinodo è questo: camminare insieme. Come Gesù con i suoi discepoli. Un sinodo è dialogo, discussione, conflitto, confronto. E poi decisione. Audacia, coraggio, sguardo al futuro. Sogni che riaffiorano, chiesa che verrà, passione per il nuovo che ci attende.

Beh, mi trovo a disagio. Mi accorgo che il sinodo diocesano sta faticando a generare questo. In alcuni genera indifferenza, in altri perplessità, in altri ancora senso del dovere. C’è la pandemia, non ci si può incontrare come vorremmo. Dall’indizione del sinodo ho scritto sul foglio della domenica, distribuito ai parrocchiani, di questa possibilità di condividere le proprie idee sulla prima scheda incentrata sui cambiamenti. E poi ho condiviso con il Consiglio pastorale, incentivando a rispondere. Non ho trovato molto entusiasmo, né partecipazione attiva e convinta. Sarà che i miei parrocchiani sono tutti demotivati, non disponibili al dialogo e per nulla convinti che la sinodalità sia il terreno in cui gettare il seme per la chiesa che verrà? Non credo.

Amo la mia comunità, come ogni parroco. Amo la chiesa che mi ha dato il Cristo, la Parola, i sacramenti e una comunità in cui sperimentare l’evangelo.

E sono convinto che i cristiani della mia parrocchia non siano solo demotivati e non disponibili a mettersi in gioco. Forse c’è dell’altro. Siamo in crisi, in crisi di fede, in crisi di cristianesimo, in crisi nella nostra “macchina parrocchiale”. Lo eravamo già da tempo, ma quando hai mille cose da fare rischi di non accorgertene. E poi, diciamocelo, l’esercizio del pensare insieme, del discernere con la propria comunità è difficile. Forse, semplicemente, perché è evangelico. E vivere il vangelo è impegnativo, ci sono sempre ottime ragioni per resistergli.

Siamo in tempo di pandemia. Il mondo è cambiato, si è fermato. E ha fermato anche noi. Il guaio sta nella possibilità che noi, come chiesa, neppure ce ne accorgiamo. Il guaio è continuare ad accanirsi sulle nostre cose e sui nostri progetti, senza accorgerci di questo tempo. Voglio essere concreto, augurandomi che il cammino sinodale prenda estremamente sul serio questo tempo e i cambiamenti di questo tempo pandemico. Ci siamo dovuti fermare. Come possiamo pensare la chiesa che verrà senza inserirla in questo tempo? Non dovremmo impiegare questo cammino sinodale a leggere, faticosamente e profeticamente, questo tempo? Si può chiedere ai cristiani di esprimersi sui cambiamenti, la fede, i preti, la parrocchia, come se nulla fosse cambiato? Condivido questi pensieri per aprire un dibattito sinodale ed evangelico.

Si è fermato tutto, ci siamo spogliati di tutto. E se questa spoliazione, come mi scriveva una catechista, non fosse proprio l’abito di ciò che deve venire? Non dovremmo chiederci cosa ci sta dicendo Dio in questo tempo? Non dovremmo chiederci come rialzarci, liberi da ciò che ci faceva stare fermi ed immobili? Penso solamente all’oratorio, al catechismo, alla liturgia… che cosa ci sta dicendo Dio in questo tempo? 

Ecco, dal sinodo mi attendo interrogativi, discussioni, dialoghi in questo tempo. Ma proprio in questo. 

don Ocio